Grandi dimissioni: che cosa c’è dietro e come funziona la fuga dal lavoro “tradizionale”

Questo articolo è stato pubblicato su Vegolosi MAG n.26 di settembre 2022. Adesso è possibile godersi anche i singoli articoli del nostro mensile acquistandoli PDF da leggere su qualsiasi dispositivo, quando vuoi e per quante volte vuoi. Approfondisci gli argomenti che ti interessano e sostieni il nostro lavoro. 

Di seguito l’anteprima dell’articolo

Di Silvia De Bernardin

Si torna al lavoro. Ma a quale, lavoro? Con un italiano su due che – raccontano le ricerche di settore – si dice intenzionato a cambiarlo nel breve periodo perché insoddisfatto e i numeri delle dimissioni volontarie mai così alti come in passato, la domanda sorge spontanea: e se la pandemia ci avesse regalato la straordinaria opportunità di rivedere il nostro rapporto con il lavoro in chiave più umana e felice?

Il tempo delle “grandi dimissioni”, lo chiamano gli esperti di risorse umane e mercato del lavoro. O, a volerla vedere da un altro punto di vista, quello di una grande opportunità di cambiamento. L’onda lunga della great resignation, dagli Stati Uniti è arrivata ormai da tempo anche in Italia facendo luce – a livello individuale e collettivo – sui nodi e le contraddizioni di una relazione con il lavoro per molti difficilissima. Tanto che, solamente tra aprile e giugno del 2021, si sono registrate quasi 500mila dimissioni volontarie (290mila di uomini e 190mila di donne): l’85% in più dello stesso trimestre dell’anno precedente, secondo i dati del Ministero del Lavoro. Un fenomeno che interessa in modo particolare i giovani tra i 26 e i 35 anni (nel 70% dei casi), seguiti dalla fascia 36-45 anni, chi risiede nel Nord Italia e svolge un lavoro impiegatizio. Ma perché le persone oggi si licenziano? E cosa cercano di diverso nel lavoro?

I numeri del malcontento

I dati – ha spiegato la primavera scorsa Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano in occasione della presentazione dei dati annuali sulle mondo delle risorse umane in Italia – sono spia di «un cambiamento di senso profondo e culturale, dal quale non si tornerà più indietro. Con la pandemia sono cambiate le aspettative. Con la libertà interiore concessa dai mesi di lockdown, in molti hanno iniziato a intravedere come le routine lavorative fossero spesso un anestetico alla fatica e all’insoddisfazione. E hanno capito che quelle abitudini potevano non essere l’unico modo di stare al lavoro». Riflessioni che si sono innestate su un sistema occupazionale, come quello italiano, già segnato da profondi disequilibri: la bassa produttività, gli orari elevati a fronte dei bassi salari…


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