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Roberto Marchesini: “Il veganismo è lotta all’antropocentrismo”

Questa puntata dello speciale dedicato alle riflessioni sul tema del veganesimo, Vegolosi.it ha il piacere di ospitare Roberto Marchesini, filosofo, etologo e zooantropologo, direttore del “Centro studi filosofia postumanista” e della “Scuola di interazione uomo-animale” (Siua, www.siua.it). Marchesini è autore di numerosi volumi sul tema che segnaliamo alla fine dell’articolo. Ecco la sua riflessione realizzata per il nostro magazine online.

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La scelta vegan è prima di tutto una filosofia di vita che pertanto non va confinata al semplice ambito alimentare e parimenti che non può essere ricondotta al solo intento di astensione da ogni forma di sfruttamento animale. Indubbiamente l’alimentazione rappresenta un aspetto fondamentale nella vita di ogni giorno, in grado di testimoniare non solo i costumi di una società ma altresì la capacità critica dell’individuo rispetto al proprio modo di interfacciarsi con la natura nel suo complesso: ovviamente non solo quella che ci sta intorno, ma anche alla dimensione somatica della persona.

Non voglio pertanto sminuire il significato di una trasformazione così radicale di ciò che consideriamo cibo, anche per il carattere pervasivo e quotidiano dell’atto alimentare. D’altro canto scegliere di nutrirsi solo con prodotti di origine vegetale significa riconoscere l’impatto dei prodotti di origine animale nella filiera di trasformazione: i) in termini di spreco di risorse alimentari, giacché la conversione è molto energivora, in un rapporto che oscilla su un dispendio dell’80%; ii) per quanto concerne la polluzione ambientale, pensiamo ai reflui e alla massiva emissione di gas serra che provengono dagli allevamenti; iii) e non ultimo di costi suppletivi, in termini di acqua e di risorse energetiche. Pochi riflettono sul fatto che una dieta vegan, se diffusa su un largo strato della popolazione, abbasserebbe l’impatto agronomico sugli ambienti – per quanto riguarda deforestazione, subsidenza, ruscellamento, dissesto idrogeologico, distruzione di biodiversità – per il solo fatto che occorrerebbero meno prodotti di origine vegetale per sfamare la popolazione rispetto alla loro trasformazione in prodotti di origine animale. Sembra un paradosso, ma una popolazione vegan consuma meno vegetali rispetto a una onnivora. Quando parliamo di disastri ambientali dimentichiamo che la maggior parte dei problemi con cui oggi ci troviamo a dover fare i conti, dal riscaldamento climatico alla perdita di specie animali e vegetali (ciò che viene definito la sesta estinzione di massa) va attribuita proprio al consumo di alimenti di origine animale. Le grandi foreste del pianeta sono sottoposte a un’erosione continua proprio a causa del bisogno di trasformare queste aree in pascoli o in monocolture per foraggiare l’allevamento. Di certo la bomba demografica che segue da alcuni decenni un ritmo di crescita esponenziale, va a peggiorare questa già instabile situazione, creando sacche di carestia, grandi spostamenti delle popolazioni e allargando la forbice tra pochi ricchi detentori della gran parte delle risorse del pianeta – che pertanto continuano a sprecare e a inquinare – e masse sempre più numerose d’indigenti.

La scelta vegan c’entra con tutto questo? Beh, direi proprio di sì, perché offre alternative concrete di contenimento, se non proprio di risoluzione, di alcuni dei fattori eziologici più importanti di tale discrasia. Gli allevamenti non solo rappresentano il cuore del problema di sostenibilità ecologica – nulla, infatti, incide di più sulle alterazioni suesposte –  ma stanno diventando i grandi serbatoi e laboratori di germi altamente patogeni, in grado in qualunque momento di scatenare epidemie globali, anche perché sostenute dall’antibiotico resistenza e in grado di colpire una popolazione umana sempre più affollata, debilitata e nomade.

Quando sento affermare che i propositori della scelta vegan sono estremisti e nemici dell’umanità rimango letteralmente basito dal livello d’ignoranza imperante: credo che i veri nemici dell’umanità siano coloro che non prendono in considerazione le dinamiche demografiche, economiche, ecologiche che stanno di fronte a noi in modo inequivocabile. Anche in fatto di estremismo vorrei fare una riflessione. Certo, abituati fin da piccoli a un regime alimentare che contemplava una ricca varietà di specialità, penso ad esempio alla cucina emiliana, è ovvio che proporre una scelta così radicale possa mettere in difficoltà o destare dei rifiuti. Per questo ritengo che una responsabilità nella proposta e nel proponente vi sia, nell’evitare cioè di assumere atteggiamenti troppo dogmatici e giudicanti, perché non aiutano e non tengono conto del carattere di graduale crescita personale che inevitabilmente tale scelta implica. Tuttavia penso che oggi sia estremista chi si rifiuta di prendere in considerazione lo stato delle cose e faccia finta di niente o non metta in relazione le criticità innegabili che gli stanno innanzi. Ma, come dicevo, la scelta vegan non riguarda solo l’alimentazione, perché si estende a raggera su un gran numero di scelte quotidiane che concernono, solo per fare qualche esempio, il rifiuto del consumismo, della discriminazione, del capitalismo, dello sfruttamento. In definitiva, la parola vegan vuol dire molte più cose di quelle che solitamente immaginiamo, nella considerazione che l’antropocentrismo sia la più grande minaccia all’umanità stessa.