Vegolosi

La lotta alle microplastiche? Con magneti, pesci e schermi elettrostatici

Si trovano nell’acqua, sul suolo e nell’aria. Sono state rilevate nei ghiacci dell’Antartico e tra vette più alte del mondo. Sono le microplastiche e sono un grosso problema per l’ambiente. Per fortuna, in giro per il mondo diversi team di scienziati, attivisti e un giovane inventore irlandese hanno iniziato a pensare a diverse soluzioni innovative che potrebbero essere un primo, piccolo (ma cruciale) passo in avanti nella lotta alle microplastiche.

Il magnete

Una delle proposte arriva da un giovane ventenne irlandese, Fionn Ferreira, che a 18 anni ha realizzato un dispositivo che utilizza il ferrofluido fatto in casa, una miscela magnetica di olio e ruggine in polvere, che si polarizza quando viene in contatto con un campo magnetico che attira proprio le microplastiche, riuscendo a rimuoverne l’88% presenti nei campioni di acqua utilizzati: un metodo veloce, non dannoso per l’ambiente e pulito.

“Aspirapolveri viventi”

Altra possibile parte della soluzione al problema delle microplastiche potrebbe essere stata individuata dal Dr Juan José Alava, esperto in eco-tossicologia marina e conservazione, secondo il quale il nostro alleato potrebbe già trovarsi in natura: il bottom feeder o “aspirapolvere vivete” secondo Alava, ossia pesci che vivono sui fondali marini, ma anche organismi decisamente più piccoli dei pesci, come certi ceppi di batteri, che sono in grado di abbattere il materiale sintetico: alcuni di questi organismi si sono evoluti riuscendo a nutrirsi proprio dei rifiuti in plastica.

Schermi elettrostatici per salvare le tartarughe

Invece, tra le spiagge sudamericane e la sua casa vicino alla costa in Oregon, l’Executive Director di Sea Turtle Forever dell’organizzazione no-profit in difesa della conservazione delle tartarughe marine, Marc Wand, già 15 anni fa notò che non solo le tartarughe ingoiavano le microplastiche, ma che anche le spiagge in cui deponevano le uova ne erano invase. Così Wand iniziò a monitorare diverse spiagge sudamericane; iniziò a setacciare la sabbia con uno schermo caricato staticamente in grado di catturare le microplastiche (piccole anche 50 micrometri), arrivando a trovarne anche 4 kili e mezzo per metro quadro.

Nanocellulosa, microplastiche in trappola

Sono state create dagli scienziati del VTT Technical Research Centre of Finland e si tratta di un materiale derivato dalle fibre di cellulosa lavorate, ecosostenibile, rinnovabile e in grado di filtrare le microplastiche dall’acqua. Grazie alla loro struttura colloidale e porosa le nanocellulose riescono a trattenere le microplastiche e potrebbero essere utilizzate non solo per il campionamento dell’acqua al fine di quantificare le microplastiche presenti, ma anche per bloccare la loro dispersione nell’ambiente direttamente negli impianti di produzione, o potrebbero essere integrate nei sistemi di filtraggio dell’acqua.

Anche le acque reflue sono un problema

Altri metodi per pulire le acque dalle microplastiche includono i bacini di infiltrazione, grazie ai quali quando l’acqua piovana cade sul terreno, si sedimenta e lentamente si infiltra nel sottosuolo, lasciando sul fondo del bacino le microplastiche; poi ci sono i pozzetti di raccolta, ossia il primo punto di ingresso del deflusso stradale nella rete di drenaggio urbana che hanno il principale scopo di trattenere i sedimenti contenenti le microplastiche e che possono rimuoverne fino all’80%, insieme a una loro manutenzione costante ed efficiente.

Produciamo ancora troppa plastica

Nel mondo si produce sempre più plastica ogni anno: solo nel 2018 la produzione globale ha raggiunto le 360 milioni di tonnellate e le microplastiche rilasciate ogni anno si aggirano attorno alle 136 mila tonnellate. Non troviamo le microplastiche solo nei pesci o nel cibo che mangiamo, ma anche nella pioggia, nell’aria che respiriamo, nell’acqua e alcuni studi hanno rilevato la loro presenza anche nella placenta sia dalla parte del feto che quella materna. Anche molti prodotti cosmetici contengono microplastiche e secondo le stime di Greenpeace, il rilascio medio annuo espresso in tonnellate è in media di 3800, quello dei detergenti di 8500 tonnellate e quello dei materiali di riempimento per campi da gioco in erba sintetica può variare dalle 2300 alle 64 mila tonnellate.

Il primo passo fondamentale resta certamente quello di gestire adeguatamente la dispersione della plastica nell’ambiente e l’inquinamento che essa provoca. Questo significa non solo riciclare di più, assicurando il corretto ed efficiente funzionamento degli impianti, ma ridurre drasticamente la domanda e la produzione di plastica a livello globale.