Ogni settimana, uno spunto di riflessione – spesso polemico – sulle tematiche che ci stanno a cuore.
Questa rubrica ha l’obiettivo di sfatare alcuni miti e di chiacchierare di false credenze sull’alimentazione vegana. Una delle più resistenti, con radici affondate sotto strati di storia geologica della cultura del pregiudizio alimentare è l’associazione immediata e infrangibile che il ristoratore medio fa tra “veganismo” e “verdure grigliate”.
È una storia antica le cui origini affondano in due pietre miliari delle sciocchezze sull’alimentazione senza animali. La prima è che che le verdure siano quasi sempre solo un contorno e che in quel settore debbano rimanere senza permettersi di alzare la testa; la seconda è che i vegani – questa razza di esagerati fuori dal mondo – mangino solo verdure.
E se è vero che, bene o male, che in quanto vegani quando si esce a cena “qualcosa si mangia sempre”, è sempre anche dietro l’angolo la frustrazione di pagare cifre importanti per pochi piatti non originali, ampiamente deludenti e che richiamano molto da vicino il classico “menu bimbi”. Siamo piccini come quantità, è vero, (in Italia la popolazione vegana si attesta sempre intorno al 2,3% – dati 2024) ma meriteremmo qualcosa di meglio che pasta al sugo, patatine fritte e verdure grigliate fuori stagione. Direte, “Ma i ristoranti vegani!”. Eh. Sono pochi, pochissimi: davvero difficile credere che quella possa essere la “soluzione” per una reale inclusione sociale e alimentare. E in ogni caso: basta verdure grigliate, please.
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