Vegolosi

Svizzera: niente “pollo vegetale” o “maiale vegan” come dicitura sui prodotti

La questione dei nomi dei prodotti vegetali che imitano quelli animali sembra una sorta di lunga puntata di Beautiful alla quale continuano ad aggiungersi nuovi e per nulla esaltanti capitoli.

Dal 1° ottobre 2025, in Svizzera sarà vietato usare denominazioni come “pollo vegetale” per prodotti vegan che imitano gusto forma e utilizzo degli omonimi a base animale. Lo ha deciso l’Ufficio federale della sicurezza alimentare e veterinaria (USAV), che ha stabilito nuove regole contro il cosiddetto meat sounding, ovvero l’uso di termini tipici della carne e dei latticini per etichettare alimenti a base vegetale. Le aziende dovranno trovare nuove formulazioni per “non ingannare i consumatori”. La motivazione, ufficialmente, è la chiarezza: per l’USAV questi termini possono creare confusione e sono riservati per legge a prodotti di origine animale.

Il provvedimento segue un trend europeo già avviato in Francia, dove è in vigore una legge simile. I produttori svizzeri, come Planted, hanno espresso preoccupazione: “Non inganniamo nessuno, rendiamo solo più semplice la comprensione”. Altri attori parlano di un freno all’innovazione e alla transizione alimentare. La sentenza arriva proprio da una diatriba legale partita da un ricorso che l’azienda svizzera Planted, nata nel 2019, aveva intentato contro la decisione del governo di vietare il meat sounding. Il primo round era stato vinto proprio dall’azienda ma il Ministero dell’Interno svizzero aveva impugnato la sentenza portandola davanti al tribunale federale che ora ha ribaltato la decisione. L’azienda ora dovrà rivedere nomi e confezioni di una parte dei suoi prodotti. Rimane però la possibilità di nominare prodotti vegetali con formule come “bistecca” o “filetto” in quanto segnalano un taglio e un suggerimenti di consumo e non la presenza di un certo tipo di alimento.

La situazione sul meat sounding in Europa e nel mondo

L’Europa si muove in ordine sparso. La Francia è il paese più severo: vieta termini come “bistecca” o “salsiccia” per i prodotti vegetali, mentre la Germania, pur avendo linee guida restrittive, permette nomi come “vegane Bratwurst”. In Spagna e Paesi Bassi la normativa è più tollerante, purché l’origine vegetale sia chiaramente indicata.

In Italia, attualmente, esiste una direttiva sul meat soundingche era stata introdotta come punto nella legge contro la carne coltivata, tuttavia, l’applicazione di questa legge è attualmente sospesa. Infatti, l’attuazione del divieto dipende dall’adozione di decreti ministeriali che definiscano l’elenco delle denominazioni vietate, ma tali decreti non sono ancora stati emanati.

A livello UE, il Parlamento europeo nel 2020 ha respinto un emendamento che avrebbe vietato il meat sounding, lasciando la decisione ai singoli stati. Diversa la situazione per i latticini: è già vietato chiamare “latte” o “yogurt” prodotti non di origine animale, a meno di eccezioni locali.

Negli Stati Uniti, la normativa varia da stato a stato: Missouri, Arkansas e altri hanno vietato l’uso di termini carnei per prodotti vegetali, ma le aziende hanno spesso fatto ricorso in tribunale, rivendicando il diritto alla libertà commerciale.

Il dibattito è tutt’altro che chiuso: da una parte, l’esigenza di trasparenza; dall’altra, la necessità di promuovere alternative più sostenibili. La questione lessicale diventa così il terreno di scontro tra tradizione alimentare e innovazione ecologica ed etica.