Vegolosi

Il turismo può davvero essere sostenibile?

È sufficiente vedere la pubblicità di un albergo, aprire il catalogo di un tour operator, sfogliare una guida o una rivista turistica. Non c’è alcun dubbio: è “sostenibile” il nuovo aggettivo-mantra del turismo globale. Sembra non esserci vacanza, ovunque si voglia andare, che non sia organizzata (e organizzabile) all’insegna del rispetto dell’ambiente e dei territori che si visitano. Ma è proprio così? Cosa significa viaggiare in maniera “sostenibile”? È davvero possibile andare alla scoperta del mondo minimizzando il proprio impatto?

Sostenibile… in che senso?

Che un trend, anche piuttosto marcato, sia in atto – soprattutto in questa fase post-pandemica – è evidente. Più difficile è provare a capire cosa ci sia realmente dietro la parola “sostenibilità” applicata ai viaggi, tra proposte ragionate, abili mosse di marketing e tentativi di greenwashing.

“Dal lato del consumatore, già prima della pandemia era emersa un’esigenza dei singoli viaggiatori a ricercare destinazioni fuori dai circuiti turistici più affollati. Una tendenza che il Covid ha enfatizzato”, ci spiega Teresa Agovino, ingegnere ambientale e consulente di turismo sostenibile per le aziende del settore. “C’è poi una maggior consapevolezza del fatto che ogni nostra azione genera un impatto e che è necessario impegnarsi in prima persona modificando i propri consumi, anche nel modo di viaggiare. Da parte loro, gli operatori turistici hanno capito che c’è una domanda che può essere soddisfatta e ci stanno lavorando sopra”. Lo confermano anche i dati, soprattutto per quanto riguarda i turisti più giovani: secondo quanto calcolato dal portale di viaggi Booking.com, il 92% dei viaggiatori italiani pensa che viaggiare in modo sostenibile sia d’importanza vitale e il 57% sostiene che la pandemia abbia fatto venire voglia di viaggiare in modo più sostenibile in futuro.

Una definizione complessa

Ma se la pandemia può aver accelerato alcune dinamiche preparando il terreno a un ritorno a viaggiare in chiave meno impattante, di “turismo sostenibile” si parla da molto prima del Covid. E non sempre in maniera chiara. “Nel panorama attuale delle offerte al cliente finale ce ne sono tantissime di turismo sostenibile. Quello che manca è una reale consapevolezza di fondo legata alla parola sostenibilità, della quale pochissimi conoscono il vero significato”, conferma Alessia Mariotti, professoressa di Geografia di turismo sostenibile all’Università degli Studi di Bologna.
Per provare ad afferrarla, questa consapevolezza, bisogna fare un salto indietro di qualche anno. La storia di un modo di viaggiare che “tenga pienamente conto degli effetti economici, sociali e ambientali presenti e futuri per rispondere alle esigenze dei visitatori, dell’industria, dell’ambiente e delle comunità ospitanti” – stando alla definizione dell’Organizzazione Mondiale del Turismo del 2004 – inizia almeno negli anni Novanta. E in una logica diversa, almeno in parte, da quella quasi unicamente green con la quale guardiamo ora alla cosiddetta “sostenibilità” dei viaggi. Se, infatti, oggi per capire se una vacanza è sostenibile si guarda a quanta anidride carbonica emette l’aereo con il quale si arriva a destinazione, quando ci si è iniziati a interrogare sull’impatto dei viaggi una ventina di anni fa, era l’aspetto di responsabilità sociale a essere centrale. Ovvero, quello collegato al rispetto dell’identità e dei luoghi visitati.

“Quando parliamo di turismo sostenibile dovremmo ricordarci prima di tutto che sono tre i pilastri su cui si fonda. Oggi – analizza Mariotti – l’attenzione è tutta su quello che la vulgata chiama ‘impatto ambientale’ e che, invece, dovremmo tornare a definire ‘salvaguardia dell’ecosistema’. La differenza concettuale è sostanziale perché implica che si parli di qualcosa che è altro da noi ma del quale l’uomo fa parte e rispetto alla quale svolge una funzione biologica. Ma poi – prosegue – ci sono gli aspetti di efficienza economica e quelli etici, che hanno a che fare con la possibilità che lo sviluppo turistico, o economico più in generale, garantisca l’accesso alla stessa quantità e qualità di risorse sia all’interno della stessa generazione che tra generazioni diverse”. È per questo che un approccio alla sostenibilità del modo di viaggiare che guardi unicamente al tema delle emissioni rischia di essere riduttivo mentre, ci dicono gli esperti, lo sguardo va allargato a uno scenario che metta a sistema temi diversi come la gestione dei rifiuti e la ridistribuzione equa della ricchezza, il rispetto dei lavoratori e l’impatto sulla biodiversità, la riduzione della plastica e la valorizzazione delle comunità locali.

Da Fabriano a L’Aquila, nel cuore dell’Appennino trasformato dai terremoti che negli ultimi anni hanno colpito l’Italia centrale: quello delle “Terre mutate”, lungo 250 km attraverso quattro Regioni (Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo), è uno dei “cammini” oggi più battuti d’Italia

A piedi e lento è meglio

Ma come si traduce tutto questo nella possibilità per noi di poter viaggiare “meglio”? Ad esempio, puntando sul binomio natura/uomo: “La pandemia ci ha aiutato a comprendere che siamo parte integrante della natura e non qualcosa di esterno a essa. Non è un caso che stiamo assistendo a una grande crescita del turismo outdoor, a piedi e in bicicletta, e ai viaggi legati a mindfulness e benessere, che pure era iniziata in epoca pre-Covid”, ci conferma Agovino. A partire dalla via Francigena, è già qualche anno che assistiamo a un fiorire di percorsi e sentieri alla scoperta dell’Italia minore, tra borghi e cammini, da percorrere zaino in spalle o pedalando a contatto con la natura. In parte forzati dalle limitazioni imposte dalla pandemia è, infatti, il turismo slow e di prossimità a indicare la strada della sostenibilità per il futuro, e ad andare per la maggiore.

“Se consideriamo che il grosso dell’impatto ambientale nel turismo è legato all’utilizzo dell’aereo, il turismo a piedi – analizza Mariotti – rappresenta l’esempio migliore di come sia possibile ridurre l’impatto incentivando una modalità diversa di spostamento e di relazione con il territorio“.Un aspetto sul quale si punta molto anche a livello istituzionale, ad esempio con i bandi europei che negli ultimi anni, di concerto con i territori, hanno permesso di potenziare le infrastrutture alla base dello slow turism, e che può fungere da esempio di sviluppo.

Come viaggeremo domani?

Ma prevedere quello che sarà, se torneremo davvero come prima della pandemia ai week-end mordi e fuggi nelle capitali europee a bordo di un volo low cost o ai viaggi esotici nei grandi resort dall’altra parte del mondo, è difficile a dirsi. Anche se il cambiamento sembra una strada obbligata: “La polarizzazione delle possibilità di consumo della vacanza sarà sempre più alta. Il cambiamento climatico aumenterà le disuguaglianze sociali: saranno sempre meno quelli che avranno la disponibilità economica per spostarsi molto per scopi turistici e destinazioni oggi ‘economiche’ potrebbero addirittura scomparire. Per molti – è lo scenario ipotizzato da Mariotti – le uniche alternative saranno quelle legate al turismo di prossimità, che è anche quello che sarà il più facile da riorganizzare in un’ottica di vera sostenibilità, se ci sarà la volontà di farlo”.

Il turismo sostenibile esiste?

Rispondere alla domanda di partenza con una risposta secca, a questo punto, appare complicato. “Io credo che esista e per me – ci risponde Mariotti, che ogni giorno insegna a chi i viaggi di domani li progetterà – si chiama pianificazione strategica e partecipata“. Questo vale in modo particolare per l’Italia, dove le aziende che operano nel turismo sono tendenzialmente piccole e a conduzione familiare, troppo impegnate a cercare di sopravvivere per operare cambiamenti significativi in un’ottica di sistema. “In uno scenario così complesso, non sono tanto le scelte di consumo di pochi che fanno la differenza – conclude – quanto le scelte di produzione di molti. Ed è lì che deve esserci il cambiamento”.
Come, tuttavia, per quanto riguarda cibo, vestiti e mobilità, anche per quanto riguarda i viaggi, da consumatori possiamo continuare a mettere in atto comportamenti virtuosi e a fare pressione, scegliendo dove andare e come farlo. “Un viaggio sostenibile al 100% non esiste. Non possiamo evitare di lasciare impronte e – ci dice anche Agovino – non credo ci sia una formula magica per farlo. Quello che possiamo fare, però, è scegliere come viaggiare avendo presenti due obiettivi: impattare di meno e fare in modo che i nostri soldi restino il più possibile alle comunità che visitiamo. E scegliere di conseguenza”.