Vegolosi

Gamberetti sì ma vegan (fatti con le alghe)

Anche vegani e vegetariani potranno gustare un ottimo aperitivo a base di gamberi in salsa. Proprio così, perché un’azienda bio-tech della West Coast statunitense ha brevettato un sistema per produrre gamberi praticamente identici agli originali, utilizzando solo alghe e altri ingredienti vegetali. Alla prima sperimentazione di questo prodotto il successo è stato enorme: “Finché non abbiamo svelato che quello che stavano gustando era un prodotto a base di alghe tutti erano convinti di mangiare gamberetti” ha dichiarato con ovvia soddisfazione Dominique Barnes, ceo dell’azienda (ed esperto di tutela e conservazione marina).

Non solo il colore, ma anche il sapore, lungi dal sembrare finto o sintetico, replica dunque alla perfezione quello originale e la consistenza succosa e morbida di questi gamberetti “green” riuscirà a soddisfare tutti i palati. La New Wave Food, questo il nome della startup, promette infatti con le sue alghe rosse (ma il processo produttivo e gli ingredienti usati sono ancora segretissimi) di ribaltare il destino del mare condannato, secondo alcuni esperti, a svuotarsi entro il 2048 da tutte le creature marine.

“Attraverso la tecnologia, stiamo creando frutti di mare che non devono essere strappati dal loro fragilissimo ecosistema e anzi sono creati completamente nei nostri laboratori alimentari. Ci siamo lasciati ispirare da madre natura per riprodurre ciò che le persone hanno mangiato per secoli, ma in un modo migliore e più sostenibile”. Un impegno non da poco se si considera che gli allevamenti intensivi di gamberetti – concentrati soprattutto nei paesi asiatici come India e Vietnam e in Brasile – creano spaventosi problemi ambientali. Dati Fao, confermano che “i gamberetti sono il più importante prodotto ittico e rappresentano circa il 16,5 per cento del commercio internazionale in termini di valore.”

Il primo riguarda la distruzione, lungo le coste tropicali, di ampie zone di foreste di mangrovie per fare spazio agli impianti di acquacoltura. Le mangrovie non sono solo la culla di una ricchissima biodiversità animale e vegetale, ma sono anche un baluardo contro l’erosione dei suoli e una sorta di cuscinetto naturale che protegge le regioni costiere dagli uragani e dai maremoti.

Anche i metodi di pesca comportano effetti collaterali non indifferenti. La maggior parte dei gamberetti tropicali proviene dalla pesca a strascico nelle acque intermedie o sul fondo, un metodo che causa considerevoli catture accidentali. La rete a strascico, infatti, spazza tutto ciò che trova sul suo passaggio. Che si tratti di pesci, squali, tartarughe di mare minacciate o a rischio d’estinzione, quel che è issato a bordo finisce rigettato in mare, morto o agonizzante.

E la pesca a strascico dei gamberetti è proprio quella che ha il tasso di catture accidentali più alto di tutte le tecniche commerciali. “Secondo la Fao” – si legge nel sito di New Wave Food – “per ogni mezzo chilo di pesce catturato con le reti, ne finiscono impigliati due chili e mezzo di specie non richieste, che spesso vengono distrutte”. “Nel mondo si allevano annualmente 6 milioni di tonnellate di gamberi: non verranno mai sostituiti ma” – dice Barnes – “basterebbe almeno avere un’alternativa sostenibile per una parte dei 2 chili pro-capite consumati ogni anno negli States”.

Serena Porchera