Vegolosi

I dinosauri ci possono spiegare la crisi climatica

E se la risposta ai cambiamenti climatici che stanno sconvolgendo il Pianeta la cercassimo, più che in un futuro dai contorni incerti, nel libro del grande passato del Pianeta? Chi – come il paleontologo “cacciatore di dinosauri” Federico Fanti – ogni giorno lavora a mettere insieme gli infiniti pezzi di quel puzzle che è la storia millenaria della Terra, lo sa: è lì che dobbiamo guardare per capire come siamo arrivati fino a qui. E cosa ci attende.

Professore, uno dei problemi principali legati alla consapevolezza dei rischi del cambiamento climatico è la scarsa capacità dell’uomo di cogliere mutazioni che avvengono su un arco temporale lungo. Lei suggerisce, invece, di guardare al passato. Perché? Cosa ci raccontano, ad esempio, i dinosauri?

Sul cambiamento climatico siamo continuamente alla ricerca di risposte. L’unico sistema che abbiamo deciso di adottare, per ora, è cercare di capire cosa sta accadendo e tentare di prevedere il più in fretta possibile che cosa ci aspetta. Questo atteggiamento, però, a mio avviso dà meno peso al provare a comprendere perché determinate cose stiano avvenendo. Avere un occhio sul passato, invece, è ciò che ci aiuta a capire il meccanismo che ha innescato quello che sta succedendo, qual è il problema alla radice, qual è – soprattutto – il nostro ruolo in questo momento storico, per intervenire in un modo che non sia solamente metterci una toppa. Il passato è un ottimo libro di testo, da conoscere: lì troviamo una quantità enorme di esempi di cambiamento – glaciazioni, riscaldamento globale, innalzamento dei mari, asteroidi, estinzioni – che ci danno un enorme vantaggio: vedere come va a finire la storia – e non una solamente, ma centinaia di storie del Pianeta e delle diverse specie.

E la nostra, di storia, come andrà a finire? O – per citare il sottotitolo del suo libro “A caccia di dinosauri” – cosa può dirci il passato su quello che ci attende nel futuro?

Non lo so, e sono contento di non saperlo perché non amo “prevedere” il futuro. Ma possiamo guardare ai dati: ci dicono che la situazione non è bella, che stiamo vivendo uno di quei momenti che nella storia del Pianeta marcano un grosso cambiamento a livello globale e che, di conseguenza, non dovremmo sottovalutare quello che sta succedendo. Il passato ci dice, poi, che ogni volta che ci sono stati dei cambiamenti come quello attuale qualcuno ne ha pagato le conseguenze. Ecco, se riuscissimo a evitare di essere noi quel qualcuno, sarebbe tanto di guadagnato. Di fatto, il passato ci mostra come, davanti a cambiamenti climatici importanti, sono tre le cose che possono accadere alle specie viventi: estinzioni, spostamenti (e questo, per quanto riguarda la nostra specie, è già in atto pesantemente) e adattamento al cambiamento. Questa è la soluzione più vantaggiosa e più facile. Molte specie in natura oggi lo stanno già facendo, si stanno adattando, noi invece non siamo più capaci di farlo, pensiamo di poter patteggiare, ma questa non un’opzione: non possiamo patteggiare col cambiamento climatico, altrimenti poi sarà lui a sceglie in modo del tutto autonomo le conseguenze.

 

Federico Fanti è geologo e paleontologo, professore associato all’Università degli Studi di Bologna e dal 2017 Emerging Explorer dalla National Geographic Society. Su Sky ha condotto il programma “Il Cacciatore di Dinosauri – Missione Italia”. Obiettivo delle sue ricerche: capire come cambiamenti climatici ed ecologici abbiano influenzato l’evoluzione delle specie

Gli esperti dicono che siamo dentro la sesta estinzione di massa. L’ultima fu quella che portò all’estinzione dei dinosauri…

In natura il cambiamento – che ci piaccia o no – è una costante. E d’altra parte, se si è arrivati fino a noi vuol dire che un modo di sopravvivere al cambiamento c’è. La storia del Pianeta ci dice che, anche davanti a grandi cambiamenti, non tutte le specie si sono estinte, per questo è importante per noi capire come quelle specie siano sopravvissute adattandosi. Anche i dinosauri, nella loro lunghissima storia sulla Terra, prima di estinguersi, si sono adattati sopravvivendo a moltissimi cambiamenti. Allora, se c’è sempre stato modo di reagire al cambiamento, perché noi dovremmo essere autolesionisti e non cogliere questa opportunità?

Ma cosa significa oggi adattarsi al cambiamento?

Il nostro adattamento oggi dovrebbe essere la presa di coscienza, un “adattarci a noi stessi”: dobbiamo accettare il fatto che è una partita nella quale non possiamo continuare a fare quello che abbiamo sempre pensato di poter fare, accettare la “sconfitta”, in un certo senso, e poi agire di conseguenza. E su questo è l’azione del singolo più che la grande decisione politica ciò che può portare a un effetto migliorativo in un tempo ridotto: sul Pianeta siamo tanti e se una fetta importante della popolazione prende coscienza, anche i risultati poi arrivano, eccome. Usiamo la legge dei grandi numeri a nostro vantaggio, per una volta.

Insomma, qualche speranza per il futuro c’è?

Dobbiamo partire dal presupposto che il cambiamento è normale, se non ci fosse stato, oggi non saremmo qui. Guardare il passato ci dice, però, che stavolta è diverso. La domanda giusta da porsi allora è: perché è diverso? Perché l’uomo è riuscito a fare in un tempo “umano” cose che normalmente in natura richiedono tempi lunghissimi o catastrofi eclatanti. È questo il problema principali dell’adattamento al quale siamo chiamati oggi rispetto al passato: abbiamo accelerato talmente tanto alcuni processi che fisiologicamente non riusciamo ad adattarci rapidamente come servirebbe. Questo riguarda soprattutto l’uomo. In natura, le prime reazioni ci sono già, estinzioni, primi tentativi di adattamento, in tutte le specie tranne una: la nostra, che invece continua a temporeggiare. E, invece, dovremmo passare dall’allarmismo all’azioneUn altro aspetto temporale che sottovalutiamo è quello della reazione in corso. Seppure agissimo subito per invertire davvero il trend del cambiamento climatico, i risultati non si vedrebbero domani. Ci sarebbe comunque un periodo di assestamento – di diversi anni – nel quale il clima continuerebbe a provocare danni: come ci prepariamo a questo? Reagire e adattarsi è anche capire che ormai ci siamo dentro e che per quanto possiamo fare per invertire la tendenza – cosa che comunque va fatta – dovremmo investire anche su politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici per l’oggi.

Immagino che studiare la storia del Pianeta e delle forme di vita che l’hanno attraversata in milioni di anni porti a ridimensionare il ruolo della specie umana. Eppure, oggi viviamo in un’epoca nella quale l’impronta dell’uomo è talmente forte da averle dato il nome: antropocene. Già nell’introduzione del suo libro, però, lei dà un consiglio a “rimpicciolirci un po’”.

Credo che la cosa più importante sia capire quel è il nostro posto. È vero che la specie umana ha ottenuto grandi risultati e ha grandi colpe, ma siamo sempre e comunque solamente una delle pagine del libro. E cercare di giustificare, capire, prevedere tutto solo ed esclusivamente in funzione dell’uomo è molto limitativo. Dovremmo ricordarci che siamo all’interno di un sistema che, indipendentemente da chi ci sta dentro, funziona da 4 miliardi di anni, e continuerà a funzionare anche dopo, indipendentemente da coloro che ne saranno i giocatori. È vero che abbiamo avuto e abbiamo un grande potere sulla Terra, ma non ci siamo solo noi. Anche rispetto al cambiamento climatico: se dopo anni di raccolta dati e analisi abbiamo capito chi è il “colpevole” e che si tratta di un problema a scala planetaria, ma poi pensiamo a soluzioni che guardano solo all’uomo, allora stiamo ancora patteggiando.

Il fossile del dinosauro Bruno, esposto al Museo Civico di Storia Naturale di Trieste

Andare “a caccia di dinosauri” è il sogno di molti bambini, ma pochissimi sono quelli che riescono a realizzarlo. Lei ce l’ha fatta. Cosa significa fare il paleontologo oggi?

Innanzitutto, è un mestiere che non ti capita di fare ed è un lavoro che cambia molto rapidamente. Per me da una parte significa seguire una passione, per appagare quello che è un grande desiderio di scienza ed esplorazione, dall’altro è cercare di far capire l’importanza del passato, che non è mai fine a se stesso, ma è ciò che ci permette di capire perché il mondo funziona in un certo modo e qual è il nostro ruolo in tutto questo.

Qual è stato il momento più emozionate della sua carriera? E quello che vorrebbe vivere?

Questo mestiere ti porta ad avere a che fare con tante cose potenzialmente emozionanti: le scoperte, la natura, i viaggi, le persone. Emozionante, nel mio mondo, vuol dire soprattutto un ritrovamento particolare, l’aver contribuito a scrivere una pagina della mia disciplina. Penso, per esempio, a quando in Canada abbiamo trovato per la prima volta il dinosauro con la cresta: è una di quelle scoperte che nella paleontologia resta, che mettono un sigillo e permettono di andare avanti. Non sono mai stato un collezionista di dinosauri, ma un collezionista di posti: andare in luoghi dove i dinosauri non sono mai stati scavati è la mia grande ambizione per il futuro.

Lei ha svolto missioni negli angoli più remoti della Terra, dal Canada al deserto dei Gobi, dall’Alaska al Turkmenistan alla Tunisia. Ma in Italia abbiamo resti di dinosauri? E che cosa ci raccontano?

L’Italia è uno dei Paesi più ricchi di fossili, in generale. La nostra storia geologica ci dice, però, che abbiamo avuto un po’ di sfortuna col periodo dei dinosauri, ce ne sono davvero pochissimi. Il vantaggio è che, quelle rare volte in cui vengono trovati, sono fossili importantissimi perché vengono da una zona nella quale neanche dovrebbero esserci. Quando io ero bambino, dinosauri in Italia non ce ne erano, ora abbiamo iniziato a trovarli e a mettere delle bandierine sul territorio in luoghi nei quali sono stati scavati scheletri ossei e dove ci sono decine e decine di siti a impronte dei dinosauri: il loro mondo adesso è rappresentato anche qui da noi. Il sito più importante è il Villaggio del Pescatore, vicino a Trieste, uno dei più importanti nel Mediterraneo. Qui sono stati scoperti i resti di “Bruno”, il più grande e completo dinosauro italiano, un Tethyshadros insularis, un grande erbivoro di circa 6 metri. Non solo, qui per la prima volta in Italia sono stati individuati i resti di un vero e proprio branco di dinosauri, che aspettano solo di essere scavati.