Vegolosi

L’etica non fermerà gli allevamenti intensivi. La tecnologia sì

Carne in laboratorio, un tema che ha acceso dibattiti e generato discussioni. Ma è davvero l’alternativa migliore per salvare il pianeta e le sue risorse naturali? “Il nostro sistema produttivo industriale è un orrore dal punto di vista etico e morale e come mangiatore di carne, mi sento in parte complice di questo abominio, ma non posso rinunciare alla carne. Come molti altri americani ho imparato a convivere con le mie contraddizioni”.

A parlare e Sean Illing giornalista di Vox dopo una lunga intervista a Bruce Friedrich, Direttore Esecutivo di The Good Food Institute a Washington DC, un’organizzazione che collabora con scienziati, investitori e imprenditori per creare un’industria del cibo più sicura e sana. “Perché il nostro food system è a un punto di rottura?” chiede Illing. “Entro il 2050 dovremo arrivare a sfamare circa 9 miliardi e mezzo di persone e di certo non lo potremo fare in maniera sostenibile continuando a usare un sistema che prevede la coltivazione esponenziale di alimenti come grano e soia destinati esclusivamente agli animali a fronte di una crisi alimentare gravissima che colpisce le popolazioni del Terzo Mondo” risponde Friedrich.

“Faccio un esempio. Ad oggi la carne più efficiente di tutte è quella di pollo; il pollo per produrre appena una caloria va nutrito con nove calorie di soia o grano; va da sé che lo spreco di cibo è altissimo ed è pari a circa il 40% di quello che viene prodotto. Per cui quando produciamo e mangiamo carne di pollo in effetti stiamo buttando via l’800% del cibo prodotto”.

Per il maiale si arriva addirittura a 15 calorie necessarie a generarne una; per il manzo tra le 23 e le 25 sempre per ottenerne una. Come conclude Friedrich si tratta di “un sistema produttivo insano perché inefficiente e dispendioso” in cui i ricavi non sono neanche paragonabili alle risorse impiegate.
Le due principali minacce che l’agricoltura destinata agli animali genera sono infatti la non sostenibilità (l’80% della soia coltivata sul pianeta è destinata agli allevamenti intensivi) e il cambiamento climatico.

“E’ scientificamente impossibile che i 170 paesi che hanno sottoscritto l’Accordo di Parigi che prevede di mantenere il cambiamento climatico al di sotto dei due gradi Celsius entro il 2050 raggiungeranno l’obiettivo se il sistema produttivo rimane questo” afferma il direttore di The Good Food. “La soluzione è quella di ridurre il consumo di prodotti animali per l’impatto enorme che essi hanno sul cambiamento climatico“.

Gli Stati Uniti hanno anche stilato un report chiamato Livestock’s Long Shadow in cui si dice che l’agricoltura destinata al bestiame contribuisce nel modo più significativo a tutti i maggiori problemi ambientali (dal più piccolo e locale al più grande e pericoloso) che il nostro pianeta oggi sta affrontando e per il 18% è responsabile del cambiamento climatico.

“Il nostro obiettivo è creare alternative “pulite” che possano competere con i prodotti animali e indurre le persone a comprarli. Sarebbe auspicabile che i consumatori si rendano conto da soli che per il bene di tutti e per quello degli animali sia necessario cambiare le cose ma è difficile che accada. Questo perché una buona parte della popolazione sensibile a questi argomenti è già passata a una dieta completamente vegetale. Ma c’è un’altra fetta di popolazione che pur interessata o informata a questi argomenti prosegue sulla sua strada perché troppo presa da altro o perché restia al cambiamento vivendo nella consapevolezza di una contraddizione” afferma Friedrich spiegando di cosa si occupa la sua organizzazione.

“Noi ci rivolgiamo proprio a queste persone e a chi è completamento all’oscuro del problema ma lasciando la questione etica fuori dai giochi e puntando invece i riflettori sui temi della sostenibilità, dell’inquinamento e del cambiamento climatico, del surriscaldamento globale e sulla salute umana e animale. In altre parole vogliamo far sì che la scelta migliore diventi anche quella più ovvia perché i prodotti sono deliziosi, poco costosi e convenienti”.

La creazione di carne in laboratorio, si sa, non è più fantascienza. Si tratta di carne “pulita” come la definisce Friedrich (clean meat) che per aspetto, consistenza e sapore è assolutamente identica a quella che esce dai macelli. “E’ chiaro, la tecnologia è nuova e al momento dispendiosa, ma non appena questo mercato si farà largo, l’assoluta maggiore efficienza di questa carne renderà il suo costo competitivo. E’ come chiedersi oggi che prezzo competitivo poteva avere un iPhone nel 1995. Questa carne costerà molto meno perché le risorse necessarie per produrla sono nettamente inferiori”.

E per quanto riguarda la resistenza dei consumatori? La prima cosa da fare, secondo Friedrich, è precisare che non si tratta di carne di laboratorio: “A pensarci bene tutti i processi produttivi di cibo hanno origine in laboratorio per poi spostarsi nelle fabbriche. Anche i cereali per la colazione ora vengono prodotti in serie in fabbrica ma sono nati in un laboratorio alimentare. La carne “pulita” si trova semplicemente ancora al primo stadio”.

“Oggi la gente mangia carne indipendentemente da come viene prodotta, anzi, non bada affatto a come viene prodotta. Eppure chiunque visitasse una moderno stabilimento per la produzione di carne di pollo o di maiale resterebbe scioccato o se chiedessimo a 10 persone fermate per strada se mangerebbero carne di animali gonfiati con ormoni per raddoppiarne e triplicarne le dimensioni scommetto che direbbero di no” continua Bruce Friedrich.

“Noi vogliamo offrire un prodotto generato con il minimo impiego di risorse, che non causa danni climatici, che non corre il rischio di avvelenare chi lo mangia, che non proviene da animali schiavizzati e maltrattati, che non infrange nessuna legge sul benessere degli animali. Non credo ci sia molto da pensare alla scelta migliore da fare. Del resto, c’è ancora chi crede che la carne da allevamento sia sana?

Serena Porchera