Vegolosi

Calano i consumi di carne e latte: a fare la differenza sono i “reducetariani”

Una recente indagine di Euromonitor International ha spiegato che il calo dei consumi di carne (soprattutto di manzo) e di latte a cui si assiste in Italia ma in generale in tutta Europa, non è legato solo alle scelte di vegetariani e vegani, bensì a quelle dei reducetariani, ossia di quei consumatori che mangiano sempre meno questi prodotti senza farne però una scelta totalizzante bensì comprando spesso alternative vegetali.

Nelle analisi di Euromonitor emerge che solamente il 34% della popolazione europea non consuma mai alternative vegetali alla carne e al latte, e questo significa che il restante 66% lo fa (con percentuali settimanali e mensili diverse fra loro). Si tratta di un numero davvero interessante e sul quale anche le riviste di settore legate all’allevamento e alla produzione di carne e latte si stanno interrogando. In un recente articolo del sito “Ruminantia“, per esempio, si legge: “I vegani, e per certi versi i vegetariani, sono la punta dell’iceberg di una dilagante insofferenza verso i prodotti di origine animale. La parte sommersa  della massa di ghiaccio è fatta di una maggioranza silenziosa che non ha motivazioni ideologiche ma vuole preservare la sua salute, quella dell’ambiente e la qualità della vita degli animali d’allevamento semplicemente riducendo il consumo dei prodotti del latte e della carne”.

Mangiare vegetale non significa rinunciare, bensì scegliere (per esempio di preparare una ciambella al cioccolato e vin brulè)

Insomma, le motivazioni di queste scelte da parte dei così detti “reducetariani” sono praticamente le stesse di vegani e vegetariani (anche se, è chiaro, che quelle di carattere etico sono più forti e totalizzanti in questi ultimi): sono i loro acquisti e il loro cambio di prospettiva a muovere il marcato mettendo in allarme il settore caseario e della carne, nonché a convincere le grandi aziende a creare nuovi prodotti vegetali, sempre più facili da acquistare grazie ai prezzi competitivi.

C’è però un fattore culturale che non è stato analizzato: quello della spinta fondamentale che una parte del movimento vegan ha dato a tutto questo negli ultimi anni. Parlare costantemente della correlazione fra allevamenti e crisi climatica, delle condizioni atroci in cui gli animali si trovano (portando all’attenzione mediatica questi abusi anche in televisione con grandi inchieste), il lavoro culturale di realtà che mostrano come l’alimentazione 100% vegetale non abbia nulla di “meno” di quella tradizionale, ma soprattutto cercare un dialogo costruttivo e non uno scontro con chi non ha (o non ancora) scelto questo stile di vita ha fatto sì che sempre più persone si avvicinassero a questi alimenti senza pregiudizi e preconcetti, bensì con forte curiosità.

Se a livello del mercato “la differenza” la fanno i reducetariani, questo non sarebbe stato possibile senza una base culturale costante, dialogante (e brava a cucinare) che invece vegana lo è da tempo.