Vegolosi

Antibiotici: non faranno più effetto nel 2050, colpa degli allevamenti

L’allarme è stato lanciato tempo fa, ma solo da poco anche il Governo Italiano sta iniziando a lavorare su una questione grave: quella dell’antibiotico resistenza, ossia la nascita e il proliferare di batteri resistenti agli antibiotici e perciò letali per uomo e animali, il tutto dovuto all’eccessivo utilizzo di questi farmaci su larghissima scala, soprattutto negli allevamenti intensivi.

Cosa c’entrano gli allevamenti intensivi?

Per poter stipare migliaia di animali (suini, bovini, galline, polli, conigli) in spazi esigui e in condizioni di stress psico fisico altissime al fine di poter produrre più carne ad un prezzo abbordabile, agli animali vengono somministrate ingenti dosi di antibiotici, anche in modo “preventivo”, ossia ancora prima che l’infezione di manifesti, al fine di evitare qualsiasi problema. “Secondo l’ultimo report dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA), – spiega una nota diramata da CIWF Italia –  il nostro paese resta fra i più grandi consumatori di antibiotici negli allevamenti in UE e il consumo è addirittura aumentato fra il 2013 e il 2014″. La situazione è decisamente grave: “Molto spesso- spiega Annamaria Pisapia, direttrice di Compassion in World Farming –  i trattamenti sono preventivi e di routine, per mantenere in vita gli animali, anche in condizioni terribili, fino al momento della macellazione. I dati dell’EMA mostrano che circa il 94% degli antibiotici utilizzati in Italia servono per i trattamenti di massa somministrati nei mangimi o nell’acqua degli animali.”

Che cosa succede ai batteri, quindi?

A spiegarlo è direttamente il Ministero della Salute: “La resistenza agli antibiotici è un fenomeno naturale causato dalle mutazioni genetiche a cui vanno incontro i batteri. Tuttavia un uso eccessivo e improprio degli antibiotici accelera la comparsa e la diffusione dei batteri resistenti agli antibiotici. I batteri sensibili muoiono quando entrano in contatto con gli antibiotici mentre i batteri resistenti sopravvivono e continuano a moltiplicarsi. I batteri resistenti  possono trasmettersi e causare infezioni anche in altre persone che non hanno fatto uso di antibiotici.” Il problema, quindi, è globale.
Sul sito del Ministero, però, non si fa riferimento diretto all’utilizzo degli antibiotici negli allevamenti intensivi, ma si parla di un generale “Benessere animale” segnalando solamente che “la comunità scientifica ha capito l’importanza di affrontare il problema in una logica collaborativa, consapevole del fatto che la salute umana e quelle animale siano fortemente correlate e dunque da tutelarsi insieme.”. Nessun dato, quindi, su questo fenomeno, nessun modo da parte dei cittadini (informandosi direttamente sul sito del Ministero) di comprendere che buona parte del problema arriva dagli animali da allevamento, ossia quelli destinati all’alimentazione umana.

I dati? Ci sono

Sul sito della European Medicines Agency, i dati però ci sono e parlano chiaramente dell’uso di questi antibiotici nell’ambito veterinario. Quella che vedete qui in alto è l’infografica tratta direttamente dal documento ufficiale preso in esame sul tema: il nostro paese, insieme alla Spagna e a Cipro, è quello dove vengono venduti più antibiotici per uso veterinario negli allevamenti. “La cosa sconcertante – spiega CWIF Italia ai nostri microfoni – è che mancano i dati di consumo reale, contando anche la situazione del commercio clandestino di bestiame e di farmaci, è per quello che noi spingiamo affinché la ricetta elettronica possa diventare una realtà e non solo una sperimentazione come lo è ora”. La ricetta elettronica è in sperimentazione, infatti, ma si tratta di un progetto pilota in funzione solo in Lombardia e in Abruzzo. Peccato che in Lombardia, come riporta CIWF, sono solamente 4 gli allevamenti che la stanno provando. In Francia, invece, questa pratica è ormai una realtà.

L’urgenza c’è, l’allarme meno


“La zootecnìa intensiva, – spiega sempre CIWF –  invece di migliorare le condizioni di benessere animale, unico modo per ridurre l’uso di antimicrobici, continua a servirsene per mantenere lo status quo dell’allevamento intensivo, ovvero milioni di animali tenuti in condizioni pessime e sottoposti a “pratiche” zootecniche incompatibili con i loro limiti fisiologici. Anche in Italia una riduzione dell’utilizzo di antibiotici non può prescindere dal miglioramento delle condizioni di vita degli animali negli allevamenti.” Peccato che in Italia di questo tema di parli davvero molto poco anche se i dati di decessi legati al fallimento delle cure antibiotiche siano altissimi: tra le 5000 e le 7000 persone all’anno, solo in Italia. Il piano sull’antibiotico resistenza e quindi sulla diminuzione dell’uso di questi medicinali c’è, ma non è funzionale perché è su base volontaria da parte degli allevamenti. Il piano deve essere nazionale ed obbligatorio, ed è questo che CIWF sta chiedendo a gran voce nella petizione rivolta al Ministro della Salute Beatrice Lorezin.