Gli animali nella vita e nell’arte di Frida Kahlo

Questa straordinaria artista messicana riversava il dolore di un’esistenza costellata di sofferenze, in un amore intenso verso la sua terra, la natura e i suoi animali

frida kahlo

Non dipingo mai sogni o incubi. Dipingo la mia realtà.

Furono compagni di abbracci, sostegni nel buio della solitudine e amici con cui condividere la gioia. Nella vita della sublime Frida Kahlo, gli animali non furono mai cornice, bensì opera d’arte.
La vita di Frida è stata costellata da difficoltà fisiche e psicologiche inimmaginabili. Già affetta da spina bifida, a sei anni si ammala di poliomielite e dovrà restare per nove mesi allettata; dopo la malattia fece di tutto – dalla boxe, al calcio, alla lotta libera al nuoto – per poter ristabilire l’uso della gamba destra che rimase invece sempre piccola rispetto alla sinistra: per nasconderla indossava anche tre o quattro calze e scarpe dal tacco speciale che le lasciarono quel modo di camminare lievemente saltellante tipico dei passerotti.

Ma fu uno spaventoso incidente, capitato quando aveva 18 anni a bordo di un autobus per tornare a casa da scuola, a stravolgerne completamente la vita facendola sprofondare nella più completa solitudine e a rifugiarsi nell’arte quale unica finestra sul mondo esterno.

Dipingo me stessa perché passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio.

Dolore, solitudine, tristezza, disgrazia, desolazione sono i sentimenti che traspaiono dagli innumerevoli autoritratti dell’artista messicana angosciata dai continui tradimenti dell’amatissimo marito e artista Diego Rivera e dalla mancanza di maternità, cosa che la condurrà a trasferire il suo amore sui bambini degli altri, sui nipoti e sugli animali come le scimmiette e i pappagalli.

frida-kahlo1Fortemente influenzata dal mondo della natura e da quello animale, Frida era infatti una grande amante di tutti gli animali,quasi tutti donatigli dal marito Diego, e spesso li ha ritratti nei suoi lavori (55 su 143 tele). Nel giardino di Casa Azul, Diego costruì un serraglio a forma di piramide per ospitarli e farli sentire al sicuro senza fargli mancare lo spazio per scorrazzare.
Tra questi un cerbiatto chiamato Granizo, un’aquila, dei parrocchetti, molte galline e dei passeri e diversi esemplari di cane nudo messicano, razza che era già conosciuta dagli Aztechi.

Questi animali giocarono spesso un ruolo fondamentale nella pittura di Frida Kahlo, protagonisti, insieme alla pittrice, di numerosi autoritratti o parte integrante dei paesaggi rappresentati.
La loro rappresentazione va di gran lunga al di là delle apparenze, dando vita all’universo interiore della pittrice. Ad esempio le scimmie del genere Ateles, definite anche “scimmie ragno”, diffuse nell’America centrale e meridionale, possiedono una coda prensile molto robusta e forte, che viene utilizzata alla pari di un quinto arto. Sono inoltre fra i pochi primati a organizzarsi in numerosi gruppi di individui guidati da esemplari femminili dominanti, con una prole a prevalenza anch’essa femminile, carattere curiosamente accostato allo stato familiare di Frida.

Sarebbe facile affermare che Frida sublimava nell’arte il suo dolore e trovava così l’energia per andare avanti. Questo è pur vero, ma anche un osservatore superficiale percepisce nella vivacità dei colori, nella intensità degli sguardi, nella esuberanza dei costumi messicani e nella vegetazione lussureggiante, una violenta passione per la vita e per tutto ciò che la rende degna di essere vissuta.

Frida non consentiva, infatti, alla sua sofferenza di trasformarla in un essere da commiserare. Nella sua breve vita Frida ha amato, viaggiato, bevuto, fumato, partecipato alle lotte politiche, cantato per gli amici, con quella “allegria” particolare di chi apprezza ogni attimo di gioia proprio perché conosce il dolore e sa che la felicità è effimera.

La scimmia nell’arte di Frida

autoritratto frida

Nella tradizione la figura della scimmia viene spesso associata al peccato, all’aspetto sensuale e lascivo, che mette l’uomo in relazione con la propria fragilità di fronte alla tentazione.

Tuttavia questa non è l’unica interpretazione possibile; secondo alcune convenzioni, infatti, questo animale è anche definito un emblema di quanto il troppo amore possa rivelare risvolti pericolosi. Questa lettura deriva da storie raccontate negli antichi bestiari, nelle quali si riportava la consuetudine da parte delle madri dei cuccioli, o più spesso dalla figura paterna, di trasportare la prole tanto amata schiacciata al petto, causando con frequenza la morte per soffocamento del cucciolo stesso.

autoritratto-con-scimmiaNell’Autoritratto con scimmia (1940), aldilà dell’onnipresente muro di foglie appare Frida, con accanto l’animale che le cinge le spalle. Entrambi sono legati fra loro da un nastro rosso acceso, colore del sangue, che dall’acconciatura della pittrice arriva ad includere il collo del primate e a fasciare con svariati giri quello dell’artista. La zampa della scimmia appare come un prolungamento naturale della treccia di Frida.

Sebbene si possa attribuire alla composizione un’atmosfera inquietante e sinistra derivante dal concetto di amore soffocante, la scimmia è qui solo un essere vivente, tenero e dotato di un’anima che abbraccia la pittrice con fare protettivo. Frida dipingendosi a fianco dei suoi animali domestici, sembra infatti una bambina che cerca protezione nell’orsacchiotto o nella bambola.

Gli scatti che la ritraggono nel corso della sua vita la vedono infatti spesso circondata dai suoi più sinceri amici con i quali trascorreva molto del suo tempo anche per via della debilitante condizione fisica: la vediamo dunque mentre passeggia coi suoi cani, che nutre le anatre in giardino, o che arriccia le labbra per baciare un piccolo cerbiatto.

Compagni di vita, fonte di ispirazione, oggetto di rappresentazione: questo e molto di più furono gli animali nella vita di Frida che scrisse prima di morire:

Spero che l’uscita sia gioiosa e di non tornare mai più.

Serena Porchera

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