Brexit, quali prospettive per i diritti animali?

Che conseguenze per gli animali negli allevamenti intensivi in caso di uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea?

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Il referendum in programma il prossimo 23 giugno potrebbe sancire il Brexit, ossia l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Media, esponenti politici e gente comune si stanno esprimendo a riguardo, ma in pochi hanno analizzato la questione da un altro punto di vista, quello di chi non può parlare: gli animali.

Gran Bretagna leader nei diritti animali

La Gran Bretagna ha un’ottima reputazione in materia di diritti animali: è stata la prima nazione al mondo a promulgare una legge per gli animali da fattoria, nel 1822, che in maniera piuttosto vaga impediva alle persone di trattarli crudelmente. Da quel momento è sempre stata in prima linea sul tema, ma negli ultimi anni i legislatori – come racconta Sam Barker sul Guardian – sono rimasti un po’ indietro: oggi la Gran Bretagna dipende principalmente dalle direttive imposte da Bruxelles (come quelle che nel 2012 hanno bandito le gabbie per le galline allevate in batteria o le stalle per le scrofe, che impedivano completamente ogni forma di movimento, nel 2013).

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Cosa succederebbe in caso di Brexit? 

Cosa succederebbe nel caso in cui la Gran Bretagna lasciasse l’UE? Le regole vigenti non verrebbero di certo cancellate da un giorno all’altro, ma qualcosa nel sistema attuale potrebbe incrinarsi a discapito degli animali. Per prima cosa bisogna dire che l’UK non sarebbe più interessata dalle future direttive di Bruxelles: le regolamentazioni sarebbe quindi rivolte in un’ottica nazionale, nello specifico al governo di Cameron che – a dire il vero – non brilla in tal senso. Anzi, l’indirizzo sembra sempre più quello di de-regolamentare: il mese scorso i ministri conservatori hanno proposto di concedere all’industria di pollo, in alcune aree, l’auto-regolamentazione (che genererebbe una totale anarchia) o ancora di rivedere il bando alla caccia delle volpi: i piani, fortunatamente, sono stati accantonati dopo una pubblica protesta ma se i lobbisti, post-Brexit, dovessero spingere per ulteriori alleggerimenti delle direttive in atto, i Tories potrebbero rivelarsi ancora una volta ricettivi.

Un’altra questione: cosa ne sarebbe dei 2,4 miliardi di sterline annuali di sussidi che gli agricoltori inglesi ricevono e che rappresentano il 53% del loro guadagno? Il ministro dell’Agricoltura, George Eustice, ha garantito che l’onere spetterà direttamente al governo, ma resta comunque un’incognita.

Yuri Benaglio 

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