Come si riconosce la vera farina integrale?

Farina integrale

Presente in tutte le case, è tra le migliori amiche di chi ama cucinare proprio perché è impossibile non avere a che fare con lei. Eppure anche la farina è al centro di annosi dibattiti: qual è il tipo migliore di farina? Meglio la raffinata o la integrale? E soprattutto, quando può dirsi davvero integrale?

L’origine della farina

Chicco di granoSpieghiamo un primo elemento fondamentale: l’origine della farina. Inizia tutto dal chicco di grano, costituito da varie parti: – il guscio esterno, che contiene le fibre, vitamine del gruppo B e i minerali; – l’endosperma, ossia la “polpa” del chicco, che contiene amido, proteine e vitamine del gruppo B, ma in quantità minori rispetto a quelle del guscio; – il germe, ossia il “cuore” del chicco, dove vi sono proteine e le vitamine appartengono al gruppo B ed E.

Le distinzioni in base alla raffinazione

La raffinazione consiste nel processo di macinazione e di setacciatura che divide l’endosperma, ossia la crusca, dal resto. Vediamo ora le distinzioni tra le farine in base al livello di raffinazione. Nei supermercati e nei negozi ne troviamo di vari tipi: – farina 00: la più raffinata, nel chicco non ci sono più né il germe né l’endosperma; è costituita in prevalenza da amido e la sua grana risulta molto fine, simile al talco; – farina 0: un po’ meno raffinata, può contenere piccole tracce di crusca ma nell’aspetto è pressoché identica alla 00; – farina 1: il grado di raffinazione è ancora minore, vi è un leggero residuo di ceneri, ossia quel che rimane di crusca e germe; – farina 2: detta semi-integrale, contiene un quantitativo maggiore di ceneri; – farina integrale: se è solo macinata e non ha subito alcun livello di raffinazione; meglio sceglierla biologica, perché gli antiparassitari si vanno a depositare sulla crusca.

La legge italiana

Non c’è alcuna dicitura corretta e precisa di cosa si intenda per “integrale”, originando un vuoto normativo che permette ai produttori di inserire questa definizione anche sulle etichette di farine raffinate a cui è stata aggiunta una parte di crusca (e in questo caso spesso vengono perse alcune sostanze nutritive naturalmente presenti nel grano). Le farine realmente integrali hanno un tempo di vita commerciale molto limitato, ossia devono essere consumate nel minor tempo possibile dopo la sua “produzione”, ed è questo “difetto” (se così lo si può chiamare) che ha dato spazio alle farine raffinate a scapito di quelle definite “povere” che in realtà sono molto più ricche.

Come riconoscere una farina davvero integrale

Al consumatore la possibilità di scegliere quale farina preferire. Ma, una volta che si è optato per la farina integrale, o meglio così definita sulla confezione, come capire se lo è davvero oppure no? Abbiamo quattro prove inconfutabili: – il tempo di conservazione, è più breve rispetto a quello delle farine raffinate; – il colore, non è né bianca né ha dei puntini più scuri, ma è uniformemente più scura; – il tatto, perché la farina integrale ha una consistenza simile alla sabbia, mentre quella raffinata sembra talco; – la cosiddetta “prova impasto“, che consiste nel mescolare farina e acqua: se il composto si attacca alle dita ed è colloso, la farina è raffinata, mentre se è morbito e non si attacca, allora è davvero integrale. – La prova colino: se setacciando la farina integrale con un colino a maglie strette vi troverete solo crusca e farina morbida come risultato, il gioco è presto svelato. Di conseguenza, è facile capire come spesso il “pane integrale“, per come ci viene presentato nei negozi, in molti casi non sia davvero tale: siamo certi di consumare pane integrale solo se ci viene consigliato da negozianti di fiducia o se lo prepariamo in casa. Anche alla vista si può capire se abbiamo o meno davanti a noi un pane integrale: è di un colore uniformemente scuro (tale è la farina, tale è il prodotto finale), non chiaro con puntini più scuri per la crusca.

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